Traduzione italiana di “I Want My Brothers Back”– di Erika Fonticoli, pubblicato su ICAV (Inter Country Adoptee Voices) blog.*

 

RIVOGLIO INDIETRO I MIEI FRATELLI

 

Cosa sono i fratelli e le sorelle? Per me sono piccoli o grandi alleati di tutte o nessuna battaglia. Nel corso della vita mi sono resa conto che un fratello, o una sorella, può essere l’arma vincente contro ogni ostacolo che ci si presenta e, allo stesso tempo, quella confortante vicinanza che sentiamo, anche quando di battaglia da combattere non ce n’è nessuna. Un genitore può fare davvero molto per i propri figli: dare amore, sostegno, protezione, ma ci sono cose che non diremmo mai a un genitore. E a un fratello? Ci sono cose nella mia vita che non sono mai stata in grado di dire a nessuno, e sebbene io abbia avuto, fin dall’infanzia, un rapporto di amore-odio con mia sorella, non c’è niente di me che lei non sappia. Nel momento peggiore della mia esistenza, quando ero profondamente ferita e ho iniziato ad avere paura di fidarmi del mondo, la sua è stata la mano che ho afferrato tra mille altre. Siamo due persone totalmente diverse, forse in comune abbiamo solo la giocosità e il DNA, eppure lei rimane comunque la persona dalla quale mi sento più compresa e supportata. Amo i miei genitori, amo i miei amici, ma lei, lei è l’altra parte di me. A volte siamo convinti che la potenza di un rapporto dipenda dalla sua durata o dalla quantità di esperienze vissute insieme. Sì, beh… io non ho condiviso molti momenti con mia sorella, non è stato un rapporto facile il nostro, tuttavia, ogni volta che ne ho avuto bisogno, lei è sempre stata al mio fianco. Non avevo bisogno di dire nulla né di chiedere aiuto, lei lo sentiva e correva da me.

E i fratelli ritrovati da adulti? Si può dire che valgano meno? Io sono stata adottata all’età di cinque anni, insieme a mia sorella che ne aveva sette. Per ben ventiquattro anni ho creduto di avere solo un’altra versione di me, lei. Poi, nel percorso di ricerca delle mie origini, ho scoperto di avere altri due fratelli, poco più giovani di me. La mia prima reazione è stata di shock, confusione e negazione. Sono seguite emozione, sorpresa e gioia. Infine, a queste si sono aggiunti lo smarrimento e la paura di essere rifiutata da loro. Dopotutto, non sapevano nemmeno che noi due esistessimo, mia sorella maggiore ed io eravamo delle estranee per loro. Quindi… come avrei mai potuto presentarmi? Mi sono posta questa domanda almeno un centinaio di volte finché, immersa in un bel minestrone di emozioni, ho deciso di buttarmi. Sentivo dentro di me il bisogno irrefrenabile di conoscerli, di vederli, di parlare con loro. È stata forse la cosa più assurda che io abbia mai vissuto. “Ciao, piacere di conoscerti, sono tua sorella!”, scrissi loro. A pensarci adesso mi viene da ridere, eppure in quel momento mi era sembrato un modo così carino di conoscerli. Mia sorella minore, proprio come temevo, mi rifiutò, o forse rifiutò l’idea di poter avere altre due sorelle di cui non aveva mai sentito parlare. Furono terribili i primi mesi con lei, duri e pieni di emozioni oscillanti, guidati sia dal suo desiderio di avere delle sorelle sia dalla sua sfiducia nel credere che fosse reale. Non è stato facile, per lei ero una perfetta sconosciuta, eppure mia sorella aveva l’inesplicabile sensazione di essere legata a me, la sensazione di volermi nella sua vita, senza nemmeno sapere chi fossi. Mi respingeva eppure non poteva fare a meno di cercarmi, mi guardava come se fossi qualcosa da studiare, perché la sconvolgeva il fatto di somigliare così tanto a qualcuno che, per ventitré anni, non aveva mai visto. Con mio fratello, invece, è stato completamente diverso, lui mi ha subito chiamato “sorella”. Abbiamo parlato incessantemente fin dal principio, notti insonni a raccontarci, scoprendo a poco a poco di essere due gocce d’acqua. È stato mio fratello dal primo istante. Com’è possibile? Non lo so. Quando mi sono messa in viaggio per incontrarli, diretta verso l’altro capo del mondo, mi è sembrato tutto così folle. Continuavo a ripetermi: “E se non dovessi piacergli?”, mi chiedevo come sarebbe stato ritrovarmi faccia a faccia con loro. La risposta? Per me, non è stato un conoscerli per la prima volta, ma un rivederli. Come quando ti trasferisci e non vedi la tua famiglia per molto tempo, quando poi torni a casa per vederli di nuovo ti senti commosso e corri ad abbracciarli. Ecco, questo è stato il mio primo momento con loro! Un istante fatto di lacrime, un abbraccio infinito, seguito da un rapido tornare giocosi e affettuosi, come se la vita non ci avesse mai separato nemmeno per un giorno.

Quindi… loro valgono meno? Il mio rapporto con loro è meno intenso e autentico di quello con mia sorella, con la quale sono cresciuta? No. Credevo di avere un’altra metà di me, ora sento di averne tre. Una la vedo tutti i giorni, due li sento costantemente per messaggi o videochiamata.

Ci sono cose della mia vita che non riesco ancora a dire a nessuno, cose che solamente i miei tre fratelli sanno e, nei momenti più duri della mia esistenza, adesso ho tre mani che afferrerei senza pensarci. Amo la mia famiglia, i miei genitori adottivi e la mia mamma biologica, ma i miei fratelli sono la parte del mio cuore senza la quale non potrei vivere. Averli nella mia vita mi riempie di gioia, ma avere due di loro così lontani da me mi scava un vuoto dentro, che spesso si trasforma in un grido di mancanza e nostalgia. Lacrime dietro le quali si cela il desiderio di condividere con loro tutti gli anni che ci sono stati sottratti, esperienze e momenti fraterni che ho vissuto con loro per soli venti giorni in Colombia. Come ho detto prima, secondo me, non conta la durata di una relazione né la quantità di esperienze vissute insieme, ma la loro qualità… detto ciò, anche quei rari momenti a noi appaiono come un sogno ancora irrealizzabile. Nei periodi più importanti e delicati della nostra vita, io e i miei fratelli ci sentiamo spesso sopraffatti dall’impotenza e dall’impossibilità di sostenerci a vicenda, perché purtroppo una parola di conforto non sempre basta. Possiamo scriverci, chiamarci, ma niente potrà mai sostituire il calore di un abbraccio quando senti che il tuo cuore soffre. Nella fase più dolorosa e traumatica della vita di mia sorella minore, quando lei ha iniziato ad avere paura del mondo, quando pensava di meritare solo calci e insulti, quando pensava di non avere nessuno, io le scrivevo. Le scrivevo ogni giorno, preoccupata e addolorata, e per quanto cercassi di trasmetterle il mio amore e la mia vicinanza, sentivo di non riuscire a fare abbastanza. Mi sentivo impotente e inutile, sentivo che non c’era niente che avrei potuto fare per lei, perché quando io mi sono sentita schiacciata dalla vita, è stato l’abbraccio di mia sorella maggiore a farmi sentire protetta. Ed era esattamente quello che desiderava la mia sorellina in quel momento, un abbraccio da parte mia, qualcosa di così piccolo e semplice che non ero in grado di darle, perché la distanza me lo impediva. E nemmeno nostro fratello avrebbe potuto, poiché anche lui è cresciuto lontano, presso un’altra famiglia. Non sapevo cosa fare, come avrei potuto aiutarla, era spaventata e ferita. Avrei voluto farla venire a vivere con me, lei e il mio nipotino, per prendermi cura di loro e aiutarli nel momento più difficile della loro vita. Mi sono informata per mesi su come poter fare, ricerche su ricerche, per poi scoprire che, nonostante il test del DNA avesse riconosciuto che siamo sorelle, per il mondo non era così. Legalmente, eravamo ancora due perfette estranee, proprio come quando ci siamo parlate quella prima volta.

Vorrei che la legge desse la possibilità ai fratelli separati dall’adozione di ricongiungersi, qualora questo fosse il desiderio di entrambi, che la legge ci consentisse di godere di quei diritti che solo un legame parentale può offrire. Noi non abbiamo deciso di separarci, è stato scelto per noi, ma non vogliamo incolpare nessuno per questo. Vorremmo solo avere la possibilità di trascorrere il resto delle nostre vite come una famiglia, sentimentale e legale a tutti gli effetti. Non dovrebbe essere un obbligo per tutti, bensì un’opportunità per quei fratelli biologici il cui legame è sopravvissuto. Una possibilità per noi perfetti sconosciuti che, nonostante tutto, ci definiamo famiglia. Forse qualcuno si ritroverà in ciò che ho provato e che sto tuttora provando, forse qualcun altro no, ma proprio perché ogni storia è diversa penso che dovrebbe esserci la possibilità di un lieto fine per tutti. Il mio sarebbe quello di riavere indietro i miei fratelli.

 

Erika (Julieth) Fonticoli

Nata in Colombia, adottata in Italia

 

*Traduzione italiana a cura dell’autrice pubblicata col suo permesso