Verso il bilanciamento tra il diritto all’anonimato della madre partoriente che non vuole riconoscere suo figlio e il diritto a conoscere le proprie origini da parte del figlio. Una riflessione del dott. Francesco Vadilonga in risposta alle recenti vicende di cronaca per fornire una corretta informazione sui diritti dei minori adottati.

di Maria Chiara Italia

 

La riflessione nasce da recenti fatti di cronaca che hanno visto minori abbandonati alla nascita. Forse non tutti conoscevano questo dispositivo fin quando non se n’è parlato sui giornali. Stiamo parlando della cosiddetta “culla termica”, chiamata anche “culla per la vita”, e che è appunto un dispositivo, posizionato in prossimità di un ospedale, con accesso dall’esterno e dotato di un ambiente termicamente adeguato per accogliere il neonato: una volta inserito il piccolo, se non vi sono ulteriori movimenti il vano verrà chiuso da una tapparella automatica e verrà emesso un avviso della presenza del neonato all’interno della culla. A Milano si trova, per esempio, in prossimità della Clinica Mangiagalli e a Bergamo all’esterno della sede della Croce Rossa.

Un dispositivo che indubbiamente salva la vita del neonato ma che non svolge quelle che conosciamo come le funzioni di tutela del minore, spiega Francesco Vadilonga, psicologo psicoterapeuta e direttore del Centro di Terapia dell’Adolescenza. E vediamo perché, nell’intervista che CTA propone in esclusiva.

 

Culla termica: civiltà o un ritorno a pratiche medioevali?

Di fronte al recente ritrovamento di un neonato in una culla termica situata a Bergamo, i media ne hanno parlato in termini di civiltà, ma questa pratica non sembra garantire l’interesse del minore. Infatti, altro non è che la nuova edizione della vecchia ruota medioevale (“la ruota degli esposti”) che si trovava in qualche vecchio ospedale o convento: era una ruota in pietra, che aveva un piccolo sportellino in legno e la donna che voleva abbandonare il figlio lo adagiava su questa ruota in pietra che faceva girare e quando lo sportellino scattava suonava anche la campanella. La donna aveva il tempo di allontanarsi e la suora, o chi per lei, andava a prendere il neonato.

 

Cosa c’è quindi che non va in questo dispositivo?

Sicuramente questo sistema protegge la vita, cosa che sta molto a cuore alle associazioni che fanno riferimento al mondo cattolico e che propagandano questa forma di sicurezza per il bambino sollevando la madre dall’assumersi le sue responsabilità. Ma forse non tutti sanno che questo sistema non tutela sufficientemente il diritto dei minori.

In Italia il nostro ordinamento riconosce alla madre partoriente il diritto di restare anonima e al minore adottato il diritto di accesso alle origini (mentre non vi è – viceversa – lo stesso diritto dei genitori biologici che ricercano la propria discendenza in caso di adozione, in quanto la legge riconosce ai minori adottati il pieno diritto alla privacy).

Ma se nel parto anonimo in ospedale i dati della donna che ha partorito vengono conservati e tutelati in archivio, la culla termica – che assomiglia più a una scelta clandestina che a una scelta semplicemente anonima – non garantisce questa tracciabilità e costringe il figlio a confrontarsi per tutta la vita con il nulla più totale. Come scrive Grazia Ofelia Cesaro, avvocato del Foro di Milano e presidente Unione Nazionale camere Minorili, “il diritto all’anonimato della madre partoriente si contrappone al diritto a conoscere le proprie origini da parte del figlio, il quale rischia comprovate ripercussioni psicologiche dalla totale assenza di informazioni al riguardo“.

La modalità di parto anonimo fuori dall’ospedale, quindi, confliggerebbe con il diritto dei minori adottati a conoscere le proprie origini.

 

È quindi come una forma di discriminazione, tra adottati di serie A e serie B?

Proprio così. I minori adottati abbandonati nella culla termica da madre che non vuole essere nominata sono discriminati dal resto dei minori adottati i quali, invece, al compimento del 25mo anno di età (e anche prima in alcuni casi) possono chiedere al Tribunale per i minorenni, che li ha dichiarati adottabili, di accedere alle informazioni sull’identità della madre. Un diritto che comunque non è scontato, ma sottoposto a un vaglio dell’autorità giudiziaria, che può riservarsi di fare accedere il soggetto o meno alle informazioni sulle sue origini.

 

Quindi se una donna non vuole riconoscere il figlio, può chiedere di rispettare il proprio diritto all’anonimato mettendo però il figlio nelle condizioni di non essere un adottato di serie B?

Proprio così. La madre biologica, partorendo in ospedale e quindi comunicando i propri dati, che vengono archiviati e conservati sotto tutela, può chiedere di restare anonima – quindi assicurando il suo diritto alla privacy – ma garantendo di fatto al figlio di poter accedere un domani alla conoscenza delle sue origini.

 

Perché i due diritti, quello della madre e quello del figlio, infatti, non sono in contrapposizione. Lo ha stabilito dieci anni fa la Corte europea dei diritti dell’uomo CEDU (sentenza Godelli contro Italia) che ha ribaltato la prospettiva, provocando una ricaduta sulla giurisprudenza sebbene non ancora sulla legislazione italiana.

 

Chi era Godelli e che cosa ha stabilito la sentenza che porta il suo nome?

Godelli era una persona adottata che ha avuto la possibilità di rintracciare chi l’ha messa al mondo a prescindere dalla legge che osteggiava il diritto del minore adottato a conoscere le proprie origini qualora fosse nato da madre che non voleva essere nominata. La sentenza Godelli, come ricorda Grazia Ofelia Cesaro, ha posto al centro il tema del bilanciamento dei diritti in caso di parto anonimo, e la Corte europea ha invitato l’Italia a non considerare un diritto – quello dell’anonimato – tiranno rispetto all’altro, predisponendo appunto un meccanismo di bilanciamento che permettesse, ad esempio, alla madre di revocare la scelta dell’anonimato.

E infatti nel 2013 la Corte Costituzionale con sentenza 278 ha stabilito il principio di “reversibilità del segreto”, in quanto “il bisogno di conoscenza del figlio rappresenta uno di quegli aspetti della personalità che possono condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita di relazione di una persona in quanto tale“.

Il minore non riconosciuto alla nascita e abbandonato in forma anonima, quando ha compiuto 25 anni o anche diciotto in alcuni casi, può fare richiesta al tribunale che si riserva di interpellare la madre biologica, cercando di capire se vuole mantenere l’anonimato o ha cambiato idea.

Direzione confermata anche dalla Cassazione con Sentenza 1946 del 2017 che ha dichiarato che in assenza di un effettivo intervento da parte del Legislatore, “il Giudice minorile avrebbe potuto, a fronte di una richiesta del figlio, interpellare in via riservata la madre circa il perdurare della propria volontà di restare anonima”.

Un diritto che la Corte di Cassazione, con pronuncia del 2018, ha esteso alla conoscenza dell’identità anche di sorelle e fratelli biologici adulti, “sempre previo interpello mediante procedimento idoneo ad assicurare la massima riservatezza e il massimo rispetto della dignità dei soggetti da interpellare”.

Una direzione che il legislatore dovrebbe riprendere e trasformare in legge: nel 2018 è stato presentato il Disegno di Legge 922 “Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche”, ma è ancora in corso di esame in commissione.

 

Qual è la posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi?

Purtroppo l’Italia non è certo una capofila di questo processo di rinnovamento: in altri paesi, come in Francia, già da molti anni è stata prevista per legge l’istituzione di un organo collegiale (CNAOP, Conseil National pour l’accès aux origines personnelles www.cnaop.gouv.fr) con l’obiettivo di facilitare l’accesso alle proprie origini biologiche. In particolare la legislazione francese, pur riaffermando per la donna il diritto del parto in anonimato, rafforza per la medesima le possibilità di revocare la sua decisione.

Invece in Italia siamo indietro, ma tutte le sentenze intervenute hanno portato alla luce la necessità di contemperare i diritti sia della madre che vuole restare anonima, sia del figlio che vuole conoscere le proprie origini, aprendo strade giuridiche che ci auguriamo verranno riprese e contribuendo a portare alla luce la stessa gerarchia di diritti con l’affermazione che la conoscenza delle proprie origini è prioritaria.

 

LE TAPPE DEL RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEGLI ADOTTATI A CONOSCERE LE PROPRIE ORIGINI

2001 – Legge 149/2001 modifica la L. n. 184/1983 riconoscendo all’adottato il diritto di essere informato in merito al proprio stato (art. 28, comma 5 L. 184/1983)

2012 – Sentenza Godelli, 25 settembre 2012: il diritto dell’adottato di conoscere i propri genitori biologici rientra nel diritto di tutela alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU

2013 – Sentenza 278/2013 della Corte Costituzionale: principio di “reversibilità del segreto” (“il bisogno di conoscenza del figlio può condizionare l’intimo atteggiamento e la stessa vita relazionale”)

2015 – Viene rimesso alle Sezioni Unite della Corre di Cassazione il quesito posto alla Suprema Corte dalla Corte di appello di Milano (decreto del 10 marzo 2015) volto a definire se, in assenza di un intervento del Legislatore, il Giudice minorile avrebbe potuto, a fronte di una richiesta del figlio, interpellare in via riservata la madre circa il perdurare della propria volontà di restare anonima.

2017 – Sentenza 1946 del 2017 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione: l’interpello della madre è possibile (sebbene in assenza di una normativa abbia reso disomogenee le prassi in atto nei tribunali minorili)

2018 – Sentenza 6963 del 20 marzo 2018 della Corte di Cassazione: “l’adottato ha diritto (…) di conoscere le proprie origini accedendo alle informazioni concernenti l’identità dei genitori biologici, ma anche quelle delle sorelle e dei fratelli biologici adulti)

2018 – Sentenza 3004/2018 della Corte di Cassazione: si ribadiscono i principi già espressi circa il diritto dell’adottato di conoscere le proprie origini, nel caso in cui la madre abbia espressamente chiesto al momento del parto, di non essere nominata e sia deceduta

 

ALCUNI RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Causa Godelli c. Italia (ricorso n. 33783/09), Sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, seconda sezione, Strasburgo, 25 settembre 2012

L’accesso del minore alle proprie origini e tutela sua alla riservatezza, di Grazia Ofelia Cesaro (Avv. Cassazionista del Foro di Milano, Presidente Unione Nazionale Camere Minorili) Fonte www.commissioneadozioni.it

– DDL S. 922 del 2018, Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche (iniziativa parlamentare di S. Pillon e F. Urraro)